Chiacchiere da bar, pour parlè. Anch’io sono un soggetto al quale piace chiacchierare. Parlare, con amici o con gente appena conosciuta, davanti ad una birra o mentre si fuma una sigaretta, di soluzioni ai problemi generali della vita, di rivoluzione, di massimi sistemi. Ultimamente trovo frequentemente altre persone che condividono con me questa voglia di confrontarsi, a parole, di desideri o esigenze rivoluzionarie e allora sempre più spesso mi lascio andare alla deriva della discussione. Quasi tutti invocano un risveglio delle coscienze nella popolazione o una strage di politici e padroni (meglio ancora quando tutte e due insieme). Come non augurarselo d’altronde? Chi ci governa non fa altro che spolpare fino all’osso ciò che resta del nostro pianeta e delle nostre vite; le prospettive che abbiamo, se continuano a persistere gli attuali livello di consumo, le politiche mondiali e la produzione di armamenti, vanno dall’apocalisse nucleare alla carestia generalizzata; la storia ci ha ormai dimostrato che chiunque vada al potere, anche se armato delle migliori intenzioni, alla fine si sottomette alle logiche del mercato e del controllo poliziesco. Solo chi si ostina a credere alle favole ideologiche, e purtroppo sono parecchi, non vede la necessità di distruggere qualsiasi forma di dominio dell’uomo sull’uomo per passare ad una società autogestita e libertaria. Alla fine quasi tutti convengono sulla necessità rivoluzionaria. Ma dopo chiacchiere e supposizioni, diverbi e riflessioni, il punto in cui il discorso si arena è sempre lo stesso. Si deve fare la rivoluzione, ma chi inizia? Chi scaglia la prima pietra?
A me la risposta appare molto semplice: io! Non vedo altra risposta che possiamo darci quando nella nostra testa balena questa domanda. Purtroppo spesso rispondere così provoca nell’altro una reazione di immediata repulsione, come se quest’affermazione tradisse la mia spavalderia e la mia sbruffonagine. “E si mo si arrivato tu e ‘bbuò fa a rivoluzione! Che ‘bbuo fa a sulo, finisci sulo ‘ngalera”. Eppure pensateci bene. Chi altri dovrebbe cominciare? Forse quello che milita in ambienti di lotta da oltre 20 anni, che può avere più strumenti di me per passare all’azione e più saggezza per prendere le giuste decisioni? Forse quella che ha studiato, è laureata in Scienze Politiche, ha fatto un dottorato all’estero, ecc. che ha certamente più chiaro il quadro politico per indirizzare meglio il tipo di intervento? Forse quell’altro che ha fatto il militare, che ha un po’ più di conoscenze di strategia e di uso delle armi (anche se avrà sicuramente la segatura al posto del cervello), e che saprà sicuramente meglio di me come agire nel momento decisivo, visto che le rivoluzioni non si fanno solo con le chiacchiere? Forse questa gente è più competente di me in settori o mansioni specifiche, ma pensare che debba partire qualcuno di questi, e poi seguirlo, per fare la rivoluzione, aspettare un capo popolo che aizzi e trascini le folle, per prendere le armi in mano (metaforicamente parlando!), vuole dire partire proprio con il piede sbagliato.
Le dinamiche di potere sono senza dubbio le principali criticità che ci hanno condotto alle condizioni miserabili in cui viviamo oggi. Una rivoluzione, per essere veramente risolutiva, deve distruggere il potere fino alla radice, altrimenti, il potere si rigenererà sotto una nuova veste, spesso più violenta e spietata di quella precedente, come ci dimostrano le rivoluzioni del secolo scorso. La base del potere sta proprio nell’individuo che pone nelle mani dell’altro il proprio potere decisionale, affidando a lui il compito di prendere le scelte al posto nostro. Finché permarrà questo meccanismo di delega, non penso sia possibile nessuna rivoluzione degna di questo nome, nessuna liberazione umana e nessun trionfo della giustizia sociale. Finché penseremo che altri possano avere il potere di prendere decisioni al posto nostro, solo perché più bravi o competenti su una questione che ci interessa, troveremo sempre persone più brave e competenti alle quali sottomettere le nostre idee e le nostre volontà.
Il fatto è questo, se siamo persuasi della necessità della rivoluzione, non possiamo che attivarci in prima persona in tal senso. Come qualsiasi cosa nella vita, quando vogliamo una cosa dobbiamo organizzarci partendo da noi per ottenerla. Ci mancano degli strumenti? Dobbiamo procurarceli. Le condizioni non sono le migliori? Dobbiamo lavorare per fare in modo che diventino il più congeniali possibili ai nostri scopi. Non siamo all’altezza di fare questo o quest’altro? Dobbiamo lavorare su noi stessi. Il cervello studia e ragiona meglio, il corpo si allena e lavora meglio, le mani apprendono nuove tecniche, si può imparare a parlare bene, a scrivere meglio, anche gli occhi, con il giusto esercizio, imparano a guardare cose che prima non vedevamo.
Fin quando aspetteremo che altri prendano il via, che altri ci indichino la giusta strada, non ci sarà nessun domani per la rivoluzione che portiamo nei nostri cuori e che desideriamo nelle nostre menti. Allo stesso modo, se non siamo in grado di guardare dentro di noi e capire da soli dove sbagliamo e dove correggerci, quali catene morali ci tengono legati al vecchio mondo (la non violenza, l’esistenza del bene e del male, il rispetto dell’autorità, ad esempio) e quali paure inculcate dal retaggio culturale ci limitano nell’azione (la galera, le botte della polizia, il parere delle persone, ad esempio), siamo di nuovo dipendenti dal maestrino di turno o dal compagno più esperto, che sappia darci i giusti consigli o le giuste punizioni. Non solo la sottomissione dell’altro, ma anche la dipendenza dall’altro genera e giustifica il potere. L’indipendenza individuale e la collaborazione con altri individui indipendenti, genera invece l’anarchia. La vera rivoluzione, per concludere con una banalità che sento dire da chiunque, parte davvero da sé stessi. Se ognuno iniziasse ad organizzarsi veramente per i fatti suoi, per i propri desideri e per i propri bisogni, questo sistema finirebbe dall’oggi al domani. Tutto sta nella determinazione che abbiamo di portare avanti la nostra lotta, anche quando l’intero mondo sembra esserci contro. Tutto sta nell’iniziare a dotarsi di ciò che è necessario per la nostra idea e per il nostro progetto. E jamm’!