Il seguente testo è estrapolato da un opuscolo scritto a seguito del disastro nucleare di Chernobyl del 26 aprile del 1986. Lo riportiamo, a distanza di 30 anni, perché, seppure parli al movimento di lotta contro il nucleare degli anni ’80, la critica all’istituzionalizzazione della lotta e al recupero politico attuato da una certa area della sinistra è più che mai attuale, soprattutto in seguito al referendum dello scorso 17 aprile e in vista del prossimo del 4 dicembre.
Critica radicale
Bisogna avere chiaro che lo scopo della nostra azione rivoluzionaria è quello di far prendere coscienza del fatto che non può esserci opposizione reale al di fuori dello scontro di classe. È proprio da questo conflitto che nasce l’esigenza di attuare una strategia di attacco contro tutte le strutture tecnologiche che ci dominano. Ciò sarà possibile sostenendo tutti quei processi di autorganizzazione sociale delle lotte e tutti quegli aspetti di vita autogestionaria legati alla pratica dell’azione diretta.
Per questi motivi abbiamo da sempre sostenuto la necessità della critica radicale contro tutti coloro che per non correre rischi, invitano i proletari a ripiegare le proprie istanze di lotta dentro gli ambiti dell’opposizione istituzionale. La delegittimazione, il pacifismo e la non violenza sono pratiche che servono ad alimentare il campo delle illusioni socialdemocratiche, le quali hanno il solo scopo di allargare il fronte dell’opposizione al nucleare su basi interclassiste e di collaborazione di classe con le istituzioni, a tutto detrimento dello sviluppo della lotta rivoluzionaria e delle potenzialità di rivolta degli sfruttati.
Gli illusionisti della politica
L’attuazione di un progetto di trasformazione globale dell’assetto societario, passa attraverso le ipotesi di lotta sovversiva che si situano fuori del quadro istituzionale e della logica mercantile del capitale. Diventa quindi logico andare contro chi propone referendum o altre consultazioni di tipo elettorale.
Costoro sono gli ultimi illusionisti della politica, i preti della democrazia, che vorrebbero, col nostro assenso, correggere superficialmente gli aspetti più brutali e violenti di questo sistema di dominio. In ultima analisi sono quelli che tendono a rivalutarlo e a conservarlo.
La loro esigenza conservativa li spinge a muoversi dentro il quadro delle contraddizioni istituzionali, per concorrere costruttivamente al loro sviluppo democratico. Così propongono ricerche di nuove tecnologie per lo sfruttamento di fonti alternative di energia non legate all’atomo. Il progetto ecologico di cui si fanno assertori – sia in generale che in dettaglio -, è plasmato sulla conservazione degli attuali rapporti di oppressione e sfruttamento.
Non a caso questi illusionisti della politica collaborano dal basso con le strutture periferiche del controllo statale, intrattenendo rapporti con tutte quelle forze politiche che in sostanza sostengono il piano energetico nazionale basato sul nucleare.
La prospettiva di classe
La lotta al nucleare va inserita dentro gli interessi più generali dei proletari, interessi socialmente antagonisti alla struttura di dominio.
Questi interessi sono gli obbiettivi da tenere presente in quanto non recuperabili dal potere e non la ricerca di obbiettivi legati al possibile sfruttamento di fonti alternative di energia dirette a sopperire alle esigenze energetiche della produzione dei consumi di massa.
Solo battendo questa strada si potrà fare in modo che le condizioni sociali create dalla lotta facciano uscire il movimento antinucleare dalle secche del militantismo politico e dall’attivismo costruttivistico in cui una grossa parte di esso si dibatte.
Lo Stato potrà anche parzialmente soddisfare la richiesta di dare inizio ad un piano energetico alternativo (energia estratta dal vento, dal sole, ecc.), quindi energia pulita, come vogliono gli ecologisti e i pacifisti. E tutto potrà anche essere presentato come una vittoria, ma non sarà altro che il documento delle debolezze e dei compromessi cui il movimento è giunto. Questo risultato dimostrerà l’estrema impotenza di arrivare ad uno sviluppo autonomo a prescindere dalle esigenze di ristrutturazione degli apparati del dominio e dimostrerà anche la miseria dei soggetti ancorati alla sopravvivenza e incapaci di pensare e promuovere diversamente l’azione sociale fuori dagli ambiti tracciati dal pensiero statuale dominante e fuori i modelli di economia sociale prodotti. Il risultato sarà una maggiore forza raggiunta da questi ultimi invece di una maggiore debolezza.
(tratto da Contro la tecnologia nucleare di Pierleone Porcu)